Quid Juris (Notizie ed approfondimenti giuridici)  
  Quid-Juris     
 
Log in
Login
Password
Memorizza i tuoi dati:
Visite (300313)
Visitatori : 2
 
SULLE DOMANDE ED ECCEZIONI NON RIPROPOSTE...


 SULLE DOMANDE ED ECCEZIONI NON RIPROPOSTE IN SEDE DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI (CASS. 10/09/2015 N° 17875)

La sentenza in rassegna ci permette di ricordare come sia importante per ogni difensore, al fine di non incorrere in preclusioni ed in eventuali azioni di responsabilità professionale, l’essere molto accorti nel momento di precisare le conclusioni all’udienza fissata per tale incombente. Esso costituisce il referente temporale, in particolare nella determinazione definitiva del thema decidendum, strettamente legato alla problematica della rinuncia e della riproposizione delle domande ed eccezioni, essendo indubbio che, comunque, le conclusioni vadano rassegante nei limite di quelle formulate negli atti introduttivi, o alla prima udienza di trattazione o, ancora nelle memorie scritte di cui all’art. 183 c.p.c.

 

Afferma la Cassazione con la sua ultima pronuncia della III Sezione n° 17875 del 10/09/2015 (presidente Mazzacane – relatore Giusti) che “affinché  una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione  una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta  connessione della domanda non riproposta con quella esplicitamente reiterata,  come emerga una volontà inequivoca di insistere   nella domanda  pretermessa”.

 

Il caso, che ha fornito l’occasione alla S.C. di formulare (e ribadire, come vedremo) tale principio, riguardava una complessa vicenda nell’ambito di una controversia in cui si discuteva del diritto di prelazione spettante ad un coerede pretermesso all’esito della vendita , da parte degli altri coeredi, di quote di un bene ereditario oggetto, nel giudizio attivato, di richiesta  divisionale.

Nel pronunciare lo scioglimento della comunione in primo grado, il Giudice aveva omesso di disporre il rilascio del bene attribuito alla attrice in sede di scioglimento della comunione, la quale vedeva negato tale diritto dalla Corte di Appello territoriale perché “la relativa domanda non risultava formulata in sede di precisazione delle conclusioni”. Di qui il ricorso in Cassazione, in cui veniva contestato che, sebbene la domanda di rilascio non fosse stata ritrascritta nel verbale di precisazione delle conclusioni, essa era stata espressamente richiamata insieme a tutte le altre contenute nella citazione.

In pratica, nel verbale della udienza di precisazione delle conclusioni, erano state riproposte analiticamente solo quelle domande che l’attrice aveva inteso modificare in quella sede, richiamando invece per relationem quella di rilascio, accessoria a quella  di divisione, invero contenuta nella citazione e da intendersi non abbandonata con il ricordato richiamo.

La Cassazione accoglieva il ricorso, enunciando il ricordato principio di diritto.

Un principio, invero, che in passato ha trovato consenso nella stessa giurisprudenza della S.C. (v. Cass. 1754/2007; Cass. 1603/2012; Cass. 5018/2014; Cass. 15860/2014) pur dovendosi registrare la esistenza di distinguo e contrarie opinioni non in linea con l’indirizzo, assolutamente prevalente, seguito dalla sentenza in commento.

Ed infatti, con la decisione 16840/2013 la Cassazione ha precisato che le domande, non  reiterate espressamente all’udienza di precisazione delle conclusioni, devono ritenersi abbandonate, assumendo, quindi, rilievo solo la volontà espressa esplicitamente dalle parti e non anche la volontà rimasta inespressa.

Più articolata appare Cass. 17029/2012, secondo la quale occorre distinguere l’ipotesi della mancata riproposizione della domanda da quella di mancata precisazione delle conclusioni, che si verifica quando la parte non si presenta all’udienza a ciò deputata o, presentandosi, ometta di precisarle o le precisa in modo generico: solo nel primo caso opererebbe una presunzione di abbandono (rinuncia) dalla domanda, mentre nel secondo varrebbe il principio opposto, per cui deve presumersi che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (in questo senso, si confronti anche Cass. 14964/2006; Cass. 21685/2005).

Come si vede, l’udienza di precisazione delle conclusioni assume nella dinamica processuale un ruolo di fondamentale importanza, una sorta di spartiacque tra la fase di trattazione e quella decisoria.

Che sia così, peraltro, è confermato dalla circostanza che detta udienza segna il limite temporale entro il quale le parti debbono riproporre al Giudice tutte le questioni decise con ordinanza revocabile, tra cui le richieste istruttorie disattese: queste ultime, laddove non riproposte in sede di conclusioni, devono intendersi abbandonate, condizionandone la sorte in fase di gravame, ivi non potendo più essere proposte (v. Cass. 9410/2011).

Il discorso potrebbe allargarsi, ma qui ci limitiamo a ricordare come la rilevanza della udienza di precisazione, tale considerata dalla giurisprudenza ma un po’ sottovalutata dalla dottrina, si ricavi da due ulteriori facoltà concesse alle parti fino a quel momento: la facoltà di variare quantitativamente il petitum, anche in  aumento, purché non sia violato il principio del contraddittorio, non si modifichino i termini sostanziali della causa, non sia strumento per l’introduzione di nuovi temi di indagine (es. Cass. 1373/2003); la facoltà di chiedere il risarcimento danni per responsabilità aggravata a seguito di espressioni sconvenienti ed  offensive (Cass. 10840/2007).

In definitiva, le superiori evidenze ci dicono come sia importante, per gli interessi del rappresentato, non avere “distrazioni” nella fase processuale de qua e, quindi, come non debba sembrare inutile ricordare un orientamento prevalente che, come visto, può anche essere disatteso dal Giudice investito della causa in un Ordinamento, come il nostro, in cui la forza del precedente giurisprudenziale non è equiparabile a quello che discende dai principi dello stare decisis di tradizione anglosassone.

 

Repetita iuvant!!


Inserito il 15 ottobre 2015 alle 00:00:00 da Antonio.Arseni

.




Torna indietro (Processo civile)

 

Quid Juris (Notizie ed approfondimenti giuridici) - Contattaci
Realizzato da IES Snc - © IES Snc
Versione stampabile Versione stampabile