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Stato di insolvenza nel caso di unico credito contestato...


 STATO DI INSOLVENZA NEL CASO DI UNICO CREDITO CONTESTATO E SUB IUDICE           

(Cass. 07/04/2015 n° 6914)

Per ravvisare lo stato di insolvenza, ai fini della dichiarazione dei fallimento del debitore, non occorre l’accertamento definitivo del credito essendo sufficiente la verifica di uno stato di impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi normali, ai propri debiti.

È questo il principio affermato da una recente sentenza della Cassazione Ia Sezione Civile del 07/04/2015 n° 6914, che riguarda un tema spesso affrontato nelle aule di giustizia a motivo di opposizione alle istanze di fallimento fondate su un unico credito, peraltro sub iudice in quanto contestato.

È il caso delle iniziative concorsuali che il creditore intraprende dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo, opposto ma dotato della provvisoria esecuzione, rimasta infruttuosa per l’inutile tentativo di sottoporre ad esecuzione i beni del debitore.

Ed invero, la giurisprudenza è molte volte intervenuta per definire il concetto di insolvenza, indefettibile condizione per la dichiarazione di fallimento, e la sentenza in rassegna si inserisce in tale dibattito atteso che il quesito formulato alla Suprema Corte, riguardava proprio l’interrogativo “se l’inadempimento di un unico credito, contestato in sede giudiziale e quindi non definitivo, integri il presupposto oggettivo del fallimento”.

Orbene, sulla questione vi sono interpretazioni abbastanza convergenti, certune (come la sentenza della S.C. in commento) arricchite da precisazioni e chiarimenti, ma tutte caratterizzate da un denominatore comune: condizione imprescindibile per la dichiarazione di fallimento è una generale situazione di difficoltà economica riguardante l’impresa, non momentanea o transeunte, che indipendentemente dai motivi, genera la impossibilità di far fronte regolarmente alle obbligazioni assunte (così anche Cass. 04/03/2005 n° 4789; Cass. 27/01/2008 n° 5215).

Deve cioè trattarsi di una condizione patologica dell’impresa (si dice “in prognosi irreversibile) tale da impedire di onorare i propri debiti.

L’art. 5 della Legge Fallimentare parla, infatti, di “inadempimenti o altri fatti esteriori” a significare, quindi, che gli inadempimenti non sono l’essenza dello stato di insolvenza potendo questo derivare da altre circostanze esteriori (fuga, latitanza dell’imprenditore, etc.).

Vogliamo dire, in buona sostanza, che la lettura di detta disposizione normativa induce a ritenere che, ai fini della ricorrenza dello stato di insolvenza, non occorre verificare la presenza di inadempimenti ma la capacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, come recita testualmente la Legge Fallimentare.

Rebus sic stantibus, è più corretto  affermare che lo scrutinio sul riscontro della condizione di insolvenza prescinde (come dice la Cassazione nella parte motiva della sentenza 6914/15 pag. 4) da ogni indagine sulla effettiva esistenza ed entità del debito il cui riscontro, insieme agli atti esteriori assurge a circostanza sintomatica del dissesto economico (così anche altra sentenza della Cassazione di poco precedente 15/01/2015 n° 576).

In conclusione, lo stato di insolvenza può ritenersi escluso nel caso di inadempimento di un credito contestato e soggetto ad accertamento giudiziale, inidoneo a determinare l’impotenza patrimoniale non transeunte al regolare adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore purché poi detta  circostanza possa evincersi dai bilanci offerti in comunicazione al Giudice (v. ex multis Tribunale di Reggio Emilia 28/06/2006 nel proc. 106/2006; Corte di Appello di Firenze 07/02/2012 in Red. Giuffré 2012).

Ugualmente può dirsi allorché, pur in presenza di un credito contestato, detta impotenza possa ricavarsi da altri elementi come la chiusura di tutti i rapporti da parte degli istituti di credito o la presentazione di ricorsi monitori da parte degli stessi, elevazione di numerosi protesti, i quali danno contezza che la società versi in uno stato irreversibile di incapacità a far fronte ai propri impegni economici (Tribunale di Tivoli 21/07/2010 n° 33 in Red. Giuffré 2010). Da segnalare, in tale contesto, la particolare pronuncia del Tribunale di Mantova del 26/02/2015 (in www.ilcaso.it) secondo il quale “dinanzi ad un credito non portato da titolo definitivo e contestato dal debitore, la cui contestazione è sub judice, il Tribunale non può che rigettare l’istanza di fallimento in quanto è carente la prova della esistenza del credito che attribuisce all’istante la legittimazione ad attivare la procedura per la dichiarazione di fallimento e non potendo valutare il Giudice prefallimentare la fondatezza nel merito delle contestazioni stesse mosse alle ragioni del creditore.

Purtuttavia, laddove dagli atti risultasse una situazione di insolvenza allarmante, desumibile dall’entità dei debiti risultanti dai bilanci e dalla pendenza di procedure esecutive immobiliari, il Tribunale non potrebbe dichiarare il fallimento ma dovrebbe trasmettere gli atti al P.M. per le conseguenti attività di competenza, ossia per la eventuale richiesta di fallimento ex art. 7 n° 2 Legge Fallimentare. Una decisione, questa, che appare abbastanza peculiare poiché se  coincidente, nella prima parte, con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, risulta isolata (a quanto consta) e contrario al prevalente orientamento della Cassazione (esplicitato anche attraverso la decisione in rassegna) che opina per la sussistenza dello stato di insolvenza nella ipotesi di specie, ricavabile da ulteriori elementi incidentalmente verificati a tal fine dal Giudice, sulla base degli elementi messi a sua disposizione, quali le esposizioni debitorie risultanti nei bilanci o la esistenza di plurimi protesti.


Inserito il 10 luglio 2015 alle 00:00:00 da Antonio.Arseni

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